9 novembre 2010

PERCHE' LO CROCIFISSERO ?


Spesso, alla domanda sul perché della condanna in croce di Gesù, ci siamo sempre dati delle risposte (sempre quelle ) più o meno ovvie, retaggio di un catechismo superficiale del passato;

è giunto il tempo di saperne un po’ di più e compito per noi catechisti (incarico affidatoci dal Signore) è di colmare il più possibile quelle lacune di cui parlavo sopra.

Il primo passo da fare è conoscere il contesto storico in cui si svolsero i fatti:

Dopo la morte del Re Erode, avvenuta nel 4 a.C., al suo posto venne inviato un governatore da Roma che oltre ad occuparsi dell’ordine pubblico della provincia, doveva garantire alle casse dell’erario le giuste entrate. L’autorità romana veniva esercitata sul popolo attraverso un sistema fiscale che riguardava alcune tasse:

    • La tassa sul reddito
    • La tassa sulla persona (particolarmente odiata dal popolo)
    • La tassa sul passaggio delle merci

Infine vi era una tassa sul mantenimento del culto nel Tempio di Gerusalemme. Questa tassa era riscossa dagli addetti al servizio del sommo sacerdote. L’autorità di Roma prevedeva anche la nomina (annuale) dello stesso sommo sacerdote. Nel periodo in cui Gesù inizia la sua attività pubblica (XV anno di Tiberio) c’era già stato in passato un sacerdote di nome Anna che stranamente era rimasto in carica per ben 9 anni, a lui era subentrato il genero Caifa, il quale resterà in carica per ben 18 anni ( tra cui il periodo di Gesù). Nell’episodio narrato dai vangeli, dove compare un Gesù che irrompe nel tempio di Gerusalemme, e rovescia i tavoli dei commercianti e dei cambia-valute che li si trovavano; ci viene presentato un Gesù insolitamente infuriato, cosa era successo? in realtà proprio in quella occasione il Nazareno compì un atto di giustizia.

Infatti, egli stava facendo rispettare una legge del Tempio stesso; questi commercianti si trovavano illegalmente in un luogo (il cortile dei gentili), riservato esclusivamente al culto, e pertanto chiuso agli scambi commerciali. Ecco perché le stesse guardie del tempio che si trovavano numerose anche in quel settore, non intervennero ne arrestarono Gesù.

Sapevano benissimo che quel Galileo aveva ragione. Infatti, gli stessi sacerdoti che assistettero alla scena, consapevoli del loro torto, non chiesero a Gesù il perché del suo comportamento (lo intuivano benissimo), ma gli chiesero di quale autorità l’uomo fosse rivestito per fare tutto ciò.

Molto probabilmente l’episodio deve essere arrivato all’orecchio del sommo sacerdote Caifa, il quale essendo il legittimo destinatario di tutti i beni, compresi gli accordi sotto banco con i commercianti, non perse certo tempo ad escogitare un modo per potersi liberare di quell’ impertinente, per giunta Galileo, che ficcava il naso nei suoi affari. Tra l’altro Caifa in qualità di sommo sacerdote, non solo disponeva di un discreto manipolo di guardie e di ruffiani, ma godeva probabilmente anche di forti appoggi presso le autorità Romane; lo dimostrava il fatto che ogni anno questi veniva rieletto; probabilmente ciò avveniva grazie ai forti compensi che Caifa stesso faceva versare periodicamente nelle casse del Governatore.

Somme che sicuramente non dispiacevano ad un uomo come Ponzio Pilato. Uomo che, in passato, si era distinto per le sue attenzioni particolari nei confronti del tesoro del Tempio. Perciò, quando Gesù comincia a parlare apertamente, facendo riferimento al buon pastore che è pronto a dare la vita per le sue pecore, il racconto è palesemente accusatorio nei confronti proprio di quel collegio sacerdotale, guidato da Caifa e operante nel tempio di Gerusalemme. Non a caso, infatti, egli li paragona a quei pastori mercenari che sorvegliano il gregge solo per denaro, ma che quando arriva il lupo, fuggono, abbandonando le povere pecore a se stesse. Pertanto, possiamo sostenere che le diverse accuse mosse contro il Salvatore, altro non furono che dei semplici pretesti, astutamente pianificati dai suoi accusatori, con la ferma e lucida volontà di zittirlo per sempre; condannandolo per infamia, a quella morte in croce, pena riservata, manco a farlo a posta, proprio ai ladri; rovesciando diabolicamente non solo i termini della giustizia, ma cercando di occultare, senza riuscirci, persino quella luce di verità, tanto attesa dal popolo d’Israele.