4 giugno 2009

RUAH : iL soffio di verità

«vide e credette» (Gv.20,8)
Questa frase del Vangelo di Giovanni che conclude l’ottavo versetto del capitolo venti, è riferita al discepolo che Gesù amava, quel Giovanni figlio di Zebedeo, corso con Pietro sul luogo del sepolcro vuoto. Questi, scrive l’evangelista, «vide e credette». Ma cosa vide? E perché credette? Secondo il Magistero della Chiesa l’apostolo va oltre con gli occhi del suo cuore e si apre alla risurrezione di Gesù. Giovanni è pertanto il primo Cristiano della storia, Credendo infatti a quello che era stato loro annunziato e ripercorrendo con la mente le parole anticipate dal Maestro egli ora ne percepisce il pieno e reale compimento. Ma non tutti si sono sentiti pienamente soddisfatti dalle spiegazioni tradizionali della Chiesa in merito a questo versetto. Il ragionamento, che fa un certo Don Persili (sacerdote di Tivoli), parte da una considerazione molto seria, egli sostiene che il discepolo doveva aver dato una sua diversa interpretazione a ciò che era presente all’interno della tomba vuota, a causa del fatto che a differenza di Pietro l’uomo aveva assistito personalmente alla tumulazione del corpo del Maestro e quindi, egli poteva aver visto o essere a conoscenza di qualcosa di importante riguardo proprio a quelle bende per terra (Gv 20,5). Il coraggioso parroco, ossessionato sin da giovane da quel «eiden kai episteusen» ( traduzione in greco di vide e credette), per decenni si è arrovellato sul testo greco tramandato da Giovanni, le sue ricerche oggi hanno trovato conferme da parte di studiosi più emeriti come il gesuita Jean Galot, professore emerito di Cristologia alla Pontificia Università Gregoriana. Il quale al pari del parroco di Tivoli ritiene che vi siano sulle traduzioni alcune imprecisioni che possono sviare la comprensione del testo stesso. Il buon Persili, tra l’altro esperto nelle tradizioni funerarie ebraiche, attraverso un lavoro di ricostruzione ha descritto con dovizia di particolari le varie fasi di come Gesù sia stato deposto nel sepolcro. Intanto l’inumazione del corpo fu molto accurata perché, anche se incombeva il sabato di Pasqua, di ore disponibili ne ebbero quanto basta. Infatti Gesù morì all’ora nona (le tre del pomeriggio) di venerdì, mentre il giorno sacro del riposo iniziava non al tramonto del disco solare(come si pensava), ma stando ai testi rabbinici, all’apparire in cielo della terza stella. Gesù fu avvolto in un grande lenzuolo in modo tale da evitare il contatto dei vivi con il cadavere, come prescriveva la legge, che imponeva altresì di seppellire i defunti per morte violenta con il suo sangue di vita , senza detergerlo.Leggi che certamente un fariseo come Nicodemo conosceva bene. I 32 Kg di oli aromatici (cento libbre di mirra e aloe) furono versati sulla tomba sepolcrale e sulle pareti del sepolcro (ecco perché quella quantità enorme) , il rimanente fu versato sul lenzuolo. La funzione delle fasce avvolte al lenzuolo e del sudario posto sul capo era dunque quella di rallentare il processo di evaporazione della mistura profumata. Dunque fasce e non bende, ma soprattutto distese (e non per terra Gv.20,5-6 ); infatti il verbo keìmena, sempre secondo Persili, è il participio del verbo keĩmai che significa giacere, essere disteso , orizzontale, si dice di una cosa bassa per distinguerla da una elevata. Quello che l’evangelista voleva far risaltare con l’uso di questo verbo era che quelle fasce prima erano rialzate perché all’interno c’era il corpo di Gesù e dopo la resurrezione si sono afflosciate, dunque distese. Il corpo glorioso del Risorto è fuoriuscito da quell’involucro come una farfalla dal suo bozzolo, con la differenza che il bozzolo è rimasto integro. Fu dunque l’integrità delle fasce avvolte sul lenzuolo, insiste don Antonio Persili, a convincere il discepolo sulla resurrezione del Maestro e non solo un fatto di fede. Giovanni stesso aveva udito più volte le parole di Gesù che annunciavano la resurrezione, era stato con Pietro e Giacomo presente all’evento della trasfigurazione, ma solo la vista dei segni nella tomba vuota e le apparizioni di Gesù nei quaranta giorni che seguirono, gli permisero di fondare con certezza la sua missione di testimone. Concludendo, posto che questa versione dei fatti non scaturisce da un grande e autorevole teologo, ma da un semplice parroco di provincia, tutto sommato non mi sembra del tutto pellegrina, anzi mi sa che il piccolo “parrino” di Tivoli ha proprio ragione! Tra l’altro sappiamo tutti che lo Spirito Santo soffia dove vuole. «Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto. » (Lc. 10,21).